Arco

STORIA DI ARCO

Come suggerisce il nome, Arco (ab.13.600) da arx, fortezza – fu sempre un borgo fortificato, con il nucleo più antico addossato ad anello attorno alla rupe del castello.

Già abitato in epoca preistorica e romana, nell’alto Medioevo il borgo venne fortificato dai Goti, quini fu capoluogo di un importante feudo con i conti d’Arco, che dominarono il contado del castello, di cui rimangono ruderi imponenti e che venne immortalato nel 1495 da Albrecht Durer in un acquerello ora conservato al Louvre di Parigi.

Presto però la comunità arcese, composta di artigiani, contadini e con una forte presenza borghese, si organizzò come Comune, dandosi propri statuti. Durante l’epoca rinascimentale, attorno alla piazza sorsero i magnifici palazzi dei d’Arco ed un rappresentante di questa famiglia, Nicolò, funse da potente stimolo per lo sviluppo delle lettere e delle arti nella città.

In seguito, al tempo della dominazione asburgica, Arco divenne luogo di soggiorno della nobiltà e dell’alta borghesia austriaca e i segni di quei lontani fasti sono ancora ravvisabili in molti edifici, primo fra tutti il Casinò. Gli alberghi, le pensioni e gli stabilimenti di cura, con i giardini e i viali per il passeggio degli illustri ospiti, si svilupparono fuori le mura e la città acquistò sempre più importanza come “luogo di cura” (Kurort). Con l’avvento del Novecento, il clima mite della cittadina venne sfruttato anche per la cura di malattie polmonari e cominciarono a sorgere i primi sanatori per le persone affette dal “mal sottile”. Negli ultimi anni ’60, infine, Arco si avviò a diventare un centro turistico e industriale, oltre che agricolo.

ARTE

arcoLa collegiata, nei pressi dei giardini pubblici si innalza l’imponente Parrocchiale, dedicata all’Assunta e meglio conosciuta come Collegiata. Eretta fra il 1613 e il 1671, secondo il disegno dell’architetto Giovanni Maria Filippi da Dasindo, è uno degli esempi più significativi di chiesa tardo rinascimentale trentina. All’interno, il primo altare a sinistra, del 1754, è probabilmente opera di Teodoro Benedetti, mentre la pala, che descrive la Lotta di San Michele contro Lucifero, è attribuita sia a Teofilo Polacco sia al Brusasorzi (sec. XVI). Nella vicina cappella, sull’altare costruito dai fratelli Sebastiano e Cristoforo Benedetti, del primo decennio del XVIII secolo, è posta l’urna con le reliquie di una presunta martire cristiana, dalla devozione popolare chiamata Santa Innocenza. La pala è attribuita a Jacopo Zanussi. Sull’altare successivo, realizzato da Bartolomeo Pellone e intitolato al Santo senese Bernardino, abbiamo un pala del pittore roveretano Domenico Udine (1834). Quindi troviamo l’altare dedicato a San Carlo Borromeo, anch’esso costruito grazie alla generosità dei conti d’Arco. Il presbiterio ha trovato la sua attuale sistemazione nella seconda metà del ‘700: al centro della nicchia dell’altar maggiore possiamo ammirare lo splendido gruppo marmoreo dell’Assunta, probabile opera di Gabriele Caliari di Verona. Quindi troviamo l’altare del Santissimo, progettato e costruito da Domenico Rossi detto il Manentino, artista di Mori della seconda metà del ‘600, – autore pure degli altari di Sant’Antonio da Padova e dell’Addolorata -; la cancellata che lo chiude fu realizzata nel 1781 da Giovanni Antonio Folada, di Mori, mentre il tabernacolo barocco è di Cristoforo Benedetti. L’altare della Madonna del Rosario, del 1670, è opera di Bartolomeo Pellone. Infine, ricordiamo la splendida cantoria realizzata da Giacomo Benedetti da Desenzano.

I PALAZZI

Nella Piazza III Novembre, dove si trova la seicentesca fontana del Mosè, con lo stemma dei d’Arco, si affacciano alcuni palazzi già appartenuti a questi signori. Il palazzo Nuovo (o Giuliani Marcabruni) fu eretto nella seconda metà del XV secolo dal conte Francesco e ristrutturato dai nuovi proprietari, i Marcabruni, nel ‘700. Ora parte dell’edificio appartiene al Comune, che vi ha collocato la sede dell’Archivio Storico Comunale, con una magnifica sala di rappresentanza. Nella stessa piazza si innalza il Palazzo di Piazza, ora Municipio di Arco, ricostruito nel ‘700 in stile barocco; pregevoli i mascheroni alle finestre. All’inizio della vicina via Vergolano, si trova il palazzo del Termine: eretto probabilmente nella seconda metà del sec. XV, fu dimora dell’umanista e poeta Nicolò d’Arco (1479-1546) e dal suo cortile interno si può ammirare il sottogronda completamente affrescato, opera di Dionisio Bonmartini di Agrone (1537). Sul fianco sinistro della Collegiata si apre piazza Marchetti con il Palazzo Marchetti (sec.XVI), di cui meritano attenzione i bizzarri camini e la fascia sottogronda tutta affrescata (sec. XVI). In via Segatini abbiamo palazzo Panni, della seconda metà del ‘600 e così detto per esser stato adibito nel secolo successivo a “Fabbrica di Panni”: qui ora è ospitata la Biblioteca Civica. Poco distante dal palazzo, si stacca il vicolo delle Ere, che si inerpica con una scalinata alla volta del Castello, dove si arriva dopo circa 20 minuti di cammino, immersi in un vasto oliveto.

IL CASTELLO

Il Castello, sorto sul luogo di un castelliere preistorico, esisteva già intorno all’anno Mille. In seguito passò ai conti d’Arco e subì vari assedi, senza mai essere espugnato. Nel 1579 fu occupato dall’arciduca del Tirolo Ferdinando II, per tornare ai conti d’Arco agli inizi del secolo successivo. Il suo declino iniziò nel 1703 quando nell’ambito della guerra di successione spagnola venne espugnato dall’esercito francese del generale Vendome.

All’interno del perimetro del castello troviamo la torre Grande, alta circa 20 metri e priva di una parete, andata distrutta nel 1703. In alto si staglia la torre Renghèra, cosiddetta dalla presenza di una campana (la “renga”) che serviva per chiamare a raccolta i cittadini. Di particolare interesse la magnifica “sala dei giochi“, con affreschi risalenti agli anni a cavallo fra il ‘300 e il ‘400 e rappresentanti scene di gioco (dadi e scacchi), con dame e cavalieri.

ATTRAZIONI

Superato il borgo medioevale di Stranfora, che si stende alla base della rupe del castello, usciamo da Porta Stranfora e arriviamo all’arboreto, l’orto botanico che si trova all’interno del Parco Arciducale. Il parco venne creato attorno al 1872 dall’arciduca Alberto d’austria nei pressi della sua villa ed ora – su una superficie di circa un ettaro – è divenuto sezione staccata del Museo Tridentino di Scienze Naturali di Trento, assumendo la denominazione di “Arboretum di Arco”, cioè un orto botanico destinato alle specie arboree e arbustive. Qui troviamo piante come la sequoia, lo spettacolare cipresso di Lawson con il singolare fusto a candelabro, cedri dell’Himalaja e dell’atlante e cipressi californiani, oltre ai maestosi lecci che si vedono presso l’ingresso; recentemente sono state introdotte altre specie, mediterranee e subtropicali, con la realizzazione dei “paesaggi vegetali in miniatura”, mettendo assieme essenze di fisionomia simile allo scopo di ricostruire gli ambienti originari. È pure presente una piccola limonaia, ricostruita con piante di aranci amari, limoni, pompelmi e mandarini, oltre a due grandi alberi di canfora e ad un eucalipto, mentre nella “macchia mediterranea” crescono lecci, sughere, querce spinose e un raro cespuglio di lentisco; non manca una piccola “oasi di palme cinesi”.

Il Romarzollese è composto dalle frazioni di Chiarano, Vigne e Varignano, adagiate ai piedi dell’olivaia che chiude la valle a nord-ovest. I piccoli borghi si raccolgono attrono ad antiche chiese, non di rado arricchite da pregevoli affreschi medioevali: nei pressi di Varignano si trova il convento-santuario della Madonna delle Grazie, tenuto dai frati minori francescani. Il complesso sorse nel 1483 e venne ampliato nel XVIII secolo, con l’attuale chiesa in stile neoclassico (1857): qui è conservata una statua lignea quattrocentesca della Vergine, di scuola veronese, ora meta di pellegrinaggi.

Dopo alterne vicende, a partire dagli ultimi anni ’50 il “Gran Carnevale” di Arco è diventato una delle manifestazioni carnevalesche più riuscite a livello nazionale. A ricordo dell’epoca felice del Kurort vengono ora riproposti una sfilata in carrozza dalla corte asburgica ed un galà danzante, mentre non manca la sfilata dei carri allegorici e dei gruppi mascherati. Un carnevale molto più antico è quello di Varignano, la prima domenica di Quaresima, quando vengono preparate delle piramidi con una struttura di canne di bambù su cui si intrecciano rami di alloro e si appendono gusci d’uovo colorati, simbolo forse della fertilità: quindi la sfilata con queste piramidi – dette “carnevali” – attraversa le vie del paese al canto di una nenia e arriva ad un poggio dove i “carnevali” vengono bruciati con un rito dal sapore propiziatorio.

Nei giardini che circondano l’ex Casinò Municipale, eretto alla fine dell’800 ed ora adibito a lugo d’incontro per manifestazioni culturali, troviamo il monumento (1909) – opera dello scultore Leonardo Bistolfi – del pittore Giovanni Segantini, uno dei maggiori esponenti del Divisionismo italiano, nato ad Arco nel 1858 e morto poco più che quarantenne.

A Massone, nell’Oltresarca, è nato il pioniere dell’aeronautica Giovanni Caproni (1886-1957).