Salò

STORIA DI SALÒ

Già esistente in epoca romana – a quei tempi si chiamava Salodium -, la città di Salò acquistò importanza a partire dal 1373, quando Beatrice della Scala, moglie di Bernabò Visconti, la preferì a Maderno come capitale della Magnifica Patria. Quest’ultima, forse di origini altomedioevali, era un’entità territoriale e politica dotata di ampie autonomie amministrative e mantenne sempre una propria identità attraverso le varie dominazioni, rafforzandosi soprattutto a partire dal 1426 quando Salò si affidò a Venezia. Comprendeva ben 42 Comuni raggruppati in sei “quadre”, e cioè Gargnano, Maderno, Salò, Montagna (la Val Sabbia), Valtenesi e Campagna (Desenzano e Sirmione). A Salò aveva sede il rappresentante di Venezia, con il titolo di “Provveditore di Salò e Capitano della Riviera”, che giudicava nelle cause criminali e dirigeva la riscossione delle imposte; vi era poi il Podestà, eletto dal Consiglio Generale di Brescia, con la funzione di giudicare nelle cause civili. La Magnifica Patria venne cancellata, insieme alla Repubblica di Venezia, dal trattato di Campoformio nel 1797.

ARTE

SalòPoco prima di entrare a Salò, venendo da Gardone, troviamo il palazzo Terzi-Martinengo, una dimora fortificata, unica nel suo genere sul Garda, costruita nel 1577 dal marchese Sforza Pallavicino, con un vasto parco che degrada verso il lago; nel 1796 fu teatro di un importante scontro tra Francesi ed Austriaci durante la battaglia di Lonato. Poco distante, sull’altro lato della Gardesana, abbiamo la chiesa del convento dei frati Cappuccini, con un portale del ‘400. Poco distante, sulla via Landi, troviamo l’Hotel Laurin – in origine villa Simonini -, costruito ai primi del ‘900 in stile liberty, strutturato – novità per il tempo – in cemento armato e con all’interno dipinti di Cesare Bertolotti e Angelo Landi (1912) e con ancora gli splendidi lampadari in metallo dell’antico arredamento. Varcata la quattrocentesca Porta del Carmine, seguiamo via Fantoni, che prende il nome dall’omonimo palazzo, con facciata del secolo XV, ora sede della Biblioteca Civica e del museo storico-militare del Nastro Azzurro, dove sono esposti documenti, cimeli, armi e uniformi dal 1796 al 1945.In questo edificio ha sede anche l?Ateneo, l’ex Accademia degli Unanimi, fondata nel 1564: conserva più di 25.000 volumi, tra cui codici miniati, manoscritti del XIII secolo, libri a stampa del ‘500 e un’ampia documentazione relativa alla Magnifica Patria. Quasi soffocato fra le antiche case del quartiere, ma non per questo meno maestoso, si trova il duomo, dedicato a Maria Assunta, in stile tardo-gotico – la sua costruzione si iniziò nel 1453 su progetto di Filippo delle Vacche. L’interno è ricco di opere d’arte e tra queste ricordiamo la grande ancona (1477) di Bartolomeo da Isola Dovarese – la grande cornice in stile gotico fiorito – e del milanese Francesco Bussolo – le statue in legno. Degno di nota è l’espressivo crocefisso ligneo di Giovanni Teutonico (1449), che Andrea Mantegna riteneva tra i più belli d’Italia. In questa chiesa lavorò Andrea Celesti, autore fra l’altro dell’Adorazione dei Magi (1689), e qui sono state ricoverate, provenienti da altre chiese salodiane, due importanti opere del Romanino (sec. XVI).

Palma il Giovane affrescò i quattro Evangelisti nei pennacchi a vela che permettono il passaggio dalla pianta quadrata del presbiterio alla circonferenza della cupola; allo stesso artista sono attribuite l’Annunciazione e la Visitazione nel coro, l’Assunzione della Vergine (1602-5) affrescata nella volta del presbiterio e le quattro ante dell’organo. Quest’ultimo fu costruito nel 1546-48 dal bresciano Giangiacomo Antenati. Sono poi presenti opere di Zenone Veronese (sec.XVI), di Paolo Veneziano (1300-1362), uno degli iniziatori della pittura veneta, e del Moretto da Brescia. Di particolare interesse il pulpito. All’interno della chiesa abbiamo poi il cosiddetto “Gobbo del duomo”, una statua raffigurante un uomo che sorregge una cassetta per le elemosine, del 1506, nel quale la tradizione popolare ravvisa uno degli operai che lavorarono al portale, rimasto gobbo in seguito ad una caduta dall’impalcatura. Il campanile presenta forme piuttosto tozze e la parte più antica, che faceva parte della pieve primitiva (sec. X-XIV), arriva a metà dell’altezza totale e nel basamento presenta materiali di spoglio, in parte forse di origine romana.

Il lungolago di Salò, ricavato dagli orti e dalle case che si affacciavano sul lago prima del terremoto del 1901, fu inaugurato nel 1906 e intitolato a Giuseppe Zanardelli, statista bresciano della fine dell’Ottocento; recentemente, nel 1989, è stato in parte ridisegnato dall’architetto Vittoriano Viganò. Vicino alla piazza si trova il palazzo della Magnifica Patria, con l’antica loggia (sec.XV): ricostruito nel 1905, venne unito al palazzo del Comune (sec.XVI) ed oggi è sede degli uffici comunali. All’interno si trova una scultura di Angelo Zanelli che ricorda Gasparo da Salò (1540-1609), un famoso liutaio ritenuto l’inventore del violino, mentre sul soffitto della sala consigliare possiamo ammirare il Trionfo della Croce, di Andrea Bertanza. Sotto il portico che collega i due palazzi, oltre a resti di affreschi, stemmi e lapidi, sono indicate le misure lineari fissate nella pietra nel 1556, mentre la facciata sulla strada interna è ornata da un antico orologio. In piazza Vittorio Emanuele II si innalzano la settecentesca Porta dell’Orologio e la chiesa della Visitazione, degli inizi del XVIII secolo, con la facciata adorna di statue di Paolo Caliari.

ATTRAZIONI

Tra le curiosità di Salò ricordiamo il mercato del sabato, oltre alla produzione di sciroppi, liquori e bibite al cedro.

Il tradizionale liquore salodiano è “l’Acqua di tutto cedro”, in voga quando sul lago erano attive le serre di agrumi, enfatizzato dalla pubblicità dell’epoca come “l’elixir igienico”: era particolarmente indicato come rimedio nelle “affezioni nervose e nei deliqui”.

Tipica della Magnifica Patria era la trasformazione del lino in matasse di candido refe. Tale produzione era saldamente controllata – in epoca veneta – da pochi mercanti di Salò, che acquistavano il lino nella pianura padana, lo distribuivano presso le famiglie contadine per la filatura, seguendo da vicino le operazioni di torcitura e imbiancatura – ottenuta con ripetute immersioni del filato in lisciva di cenere e nell’acqua di lago – e infine provvedendo alla commercializzazione del semilavorato così ottenuto. Il massimo di espansione di tale attività si ebbe nel ‘500 e agli inizi del secolo successivo. In epoca veneta, e fino al secolo scorso, esistevano a Salò ben 90 filatoi e 18 fabbricanti di “refe di lino”, gran parte del quale prendeva  la via di Venezia, dove era impiegato nella confezione di corde per le navi e per i merletti di Burano.